Negli anni ’50 con gli esperimenti sulla “sensory deprivation”, emerse che in assenza di stimoli sensoriali (vista, udito, tatto, olfatto e gusto) ottenuta anche con semplici oggetti di uso comune come guanti, cuffie, cappucci, dopo un certo periodo l’essere umano manifestava una serie di disturbi psicologici come difficoltà di pensare, allucinazioni, sbalzi di umore, depressione, fobie, ansia.

Il neuroscienziato John Lilly sostenne che l’85% delle energie mentali e cognitive è utilizzato proprio per gestire gli “stimoli sensoriali esterni”, per cui l’assenza degli stessi, porta il cervello a smettere di funzionare. Si possono pure verificare condizioni di alterazione dello stato di coscienza.

La deprivazione sensoriale è stata utilizzata anche come forma di “tortura” sui prigionieri dalle forze armate NATO; la Corte Europea dei diritti dell’uomo si è poi pronunciata contro l’utilizzo di queste tecniche di deprivazione in quanto trattamento inumano oltre che degradante.

Attraverso l’uso continuativo di guanti e mascherine, quindi oggetti d’uso comune, si riesce a ridurre la percezione sensoriale tattile e olfattiva, oltre alla riduzione di ossigeno da introdurre con la respirazione, e queste sono già condizioni sufficienti a scatenare disagi e sofferenze notevoli.

Come già affermò Aristotele: “l’uomo è un animale sociale”. Ciò significa che la socializzazione, la “relazione” con gli altri è tanto importante quanto l’aspetto della vita individuale, anzi ne è parte fondamentale per il corretto sviluppo della personalità nelle interazioni relazionali.

L’utilizzo contemporaneo di “tecniche manipolatorie” come la “comunicazione suggestiva”, la “deprivazione sensoriale”, il “distanziamento sociale”, causano un danno psicologico e sociale senza precedenti.

Ipnotizzare qualcuno contro la sua volontà, inoltre, è un’attività illegale e quindi paragonabile alla pratica della violenza psicologica, che è altrettanto grave di quella fisica.